martedì 8 febbraio 2011

Giovanni Pascoli autore non prolifico



Giovanni Pascoli non fu un autore prolifico, né tantomeno precoce.
Ha scritto poco, come se fosse non dico impegnato nel lavoro di insegnante che pure lo vedeva alle prese con un'istituzione che certo non conosceva le aberrazioni burocratiche e massificanti di questi ultimi decenni (si lamentava che i suoi alunni liceali non conoscessero sufficientemente il latino), ma perché attraversato da una pigrizia e un'indolenza che in fondo sono tutt'uno con la sua ispirazione più profonda. Ha scritto pochissimo se paragonato a Leopardi che pure ci ha dato le migliaia di pagine, di fatto inesplorate, dello Zibaldone e un epistolario che, per la teatralità della scrittura e per l'innegabile potenziale filosofico, ulteriormente umano e poetico come solo un grande scrittore era in grado di redigerlo nell'arco di un'intera esistenza, vale quanto quelli di Cicerone e Petrarca messi insieme e di tutti i romanzi che il fanciullino non ha pensato mai, neppure lontanamente, di lasciarci.
Si laurea in ritardo, a ventisette anni, nel 1882, in seguito alle tragedie familiari e dopo essere stato tre mesi in prigione, nel 1879, per le sue simpatie socialiste. Esordisce ugualmente tardi, nel 1891, con Myricae e ha già trentasei anni, l'età che aveva la Morante quando uscì Menzogna e sortilegio e all'incirca quella di Aldo Busi quando pubblicò Vita standard di un venditore provvisorio di collant (ma in questi due casi siamo nel pieno Novecento): trentasei anni, in ogni caso, che non corrispondono esattamente a quelli dei nostri giorni (da non dimenticare che Gozzano dirà addio alla giovinezza, considerandosi già vecchio, a soli venticinque anni!). Sei anni dopo, nel 1897, a quarantadue anni dunque, pubblica i Poemetti: iCanti di Castelvecchio escono nel 1903, quando il poeta ha ormai quarantotto anni: i Poemi conviviali sono dell'anno successivo (1904): Odi e inni del 1906, e corrispondono ai cinquantun anni dell'autore: le Canzoni di re Enzio del 1909 (cinquattraquattro anni): i Poemi del Risorgimento del 1913, quando Pascoli è morto da un anno, alcolizzato, nel 1912, a soli cinquattasette anni di una volta.
Quanto alla prosa, gli scritti saggistici - se vogliamo eccettuare Il fanciullino(1897), che tuttavia si dimostra datato per il linguaggio improponibile anche se dice cose definitive sulla natura e la funzione del poeta - non sempre assurgono alla pienezza espressiva della grande letteratura e nascono spesso in occasione di lavori antologici per la scuola: Minerva oscura vede la luce nel 1898 (quarantatré anni); Sotto il velame nel 1900 (quarantacinque); La mirabile visione nel 1902 (quarantasette), Pensieri e discorsi nel 1907 (cinquantadue).
Pur non dimenticando, tuttavia, che Pascoli fu uno scrittore bilingue, parte della sua produzione essendo scritta in un latino che gli faceva sistematicamente vincere i concorsi di Amsterdam, anche in questo caso, nient'affatto trascurabile, il confronto col Leopardi filologo non si pone.

Sandro df
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