lunedì 31 gennaio 2011

Prout liberet quidque et nihil in ordinem arripiens



Virgilio scrisse l'Eneide "prout liberet quidque et nihil in ordinem arripiens", cioè come veniva veniva, svogliatamente, per compiacere Augusto. Sfido che alla fine volesse bruciare il poema, che è senza capo né coda neanche fosse un romanzo della Ortese. Prima buttò giù tutto in prosa, nihil in ordinem arripiens,ossia senz'ordine alcuno; poi passò agli esametri che Huysmans trovava meccanici. Non fece in tempo a correggere le correzioni né a eliminare i puntelli né le ricorrenti contraddizioni, perché morì: e così Turno uccide due volte Fegeo (IX, 765 e XII 371); Remulo è fatto fuori prima da Ascanio (IX, 633) e poi da Orsiloco (XI, 636); le navi sono trasformate in ninfe da Venere(X, 83) e prima invece si diceva che era stata Cibele (IX, 77); a Enea è profetizzata da Didone una morte in giovane età (IV, 620) e, allo stesso tempo, da parte di Anchise una lunghissima vita (VI, 764); le triremi della flotta troiana non erano ancora state inventate, stando al giudizio di Tucidide; Enea e Didone cacciano cervi, animali che non esistevano in Africa; alla fine dell'esperienza cartaginese, l'eroe viene spinto verso l'Italia da Aquilone, che però è un vento del nord. Quando, com'era consuetudine, il poeta lesse il VI libro al principe, a Ottavia e a Livia, rispettivamente sorella e moglie di Augusto, si tramanda lo svenimento di Ottavia quando Virgilio arrivò ai versi che parlavano del di lei figlio Marcello, erede al trono, morto giovanissimo da poco tempo: le sembrò di rivederlo. Leopardi, malignamente, insinua che Ottavia non svenne per questo motivo, ma perché non ne poteva più di ascoltare la lunga lettura di Virgilio,che era anche balbuziente. Perciò, fatevi animo.

Sandro df
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