giovedì 25 agosto 2011

L'idea di progresso nell'antichità: Senofane e Esiodo


Nel frammento 18 Diels-Kranz di Senofane, è presente il fondamento dell’idea di progresso nell’Occidente, come scrive Ludwig Edelstein nell’Idea di progresso nell’antichità classica.[1] A proposito di questa idea di progresso – precisa l’autore – non si tratta comunque di progresso in termini moderni.
Nel frammento 18 Diels-Kranz di Senofane si afferma che il tutto non è rivelato dagli dèi, ma, attraverso la ricerca, all’uomo è consentito nel tempo di giungere al meglio.
Nel frammento si afferma precisamente:
«οτοι πρχς πάντα θεο θνητοσπέδειξαν, λλ χρόνωι ζητοντες φευρίσκουσιν μεινον[2]
«Certamente fin dall’inizio non tutto gli dèi svelarono ai mortali, ma nel corso del tempo quelli che ricercano trovano ciò che è meglio.»
Senofane presuppone il regresso nel progresso, riducendo logicamente la portata ottimistica della propria affermazione, e ha ragione Edelstein nell’attribuire al fondamento senofaneo un valore non assoluto nei termini moderni. Ma già si riscontra l’esistenza del concetto di tempo inteso come progresso nella cultura greca, in un presocratico. Ovvero, il Colofonio qui si riferisce alla possibilità che l’uomo guadagni il miglioramento delle proprie condizioni di vita. Questo guadagno si determina gradualmente, col procedere del tempo, a prescindere dall’intervento di Dio, non a caso, e certo non a torto, concepito non più antropomorficamente, ma uno e sommo senza movimento nel cosmo.
Anche col progresso materiale, non solo con quello intellettuale, gnoseologico e astratto, ha a che vedere l’idea di progresso attribuibile in primis a Senofane. In definitiva, qualora si sia considerato, in generale, un momentaneo regresso, e superato, da parte dell’uomo senofaneo è prevedibile, con relativo ottimismo, il progresso di oggi dopo ieri, quello di domani dopo oggi.
Edelstein, procedendo nella sua analisi, contrappone Senofane a Esiodo, la fiducia dell’uno nel futuro al totale disincanto dell’altro. Dal mito delle razze di Esiodo si evince la sfiducia verso l’età contemporanea (cui appartiene la razza degli uomini di ferro) pericolosamente compromessa dalla βρις, dalla tracotanza che va via via soppiantando la giustizia, la δίχη trionfante nell’età dell’oro. Senofane non è così pessimista, ma le conclusioni di Edelstein vanno riviste, in parte corrette dall’interpretazione che del mito delle razze ha fornito Jean-Pierre Vernant, in Mito e pensiero presso i Greci.[3] Per quest’ultimo, non c’è cronologia stricto sensu nell’ordine nel quale le razze si succedono. Ciò perché “Esiodo non ha la nozione di un tempo unico e omogeneo in cui le diverse razze vengano a fissarsi in un posto definitivo.”[4]
Per Vernant, il tempo esiodeo non è lineare né continuo né irreversibile. Anzi, “non solo il tempo di Esiodo, ma perfino quello degli storici greci, per non parlare dei tragici, non possiede ancora questi caratteri.”[5] Mancando cronologia stricto sensu, nemmeno il regresso delle razze e dell’uomo è proprio irreversibile. Infatti, una volta scomparsa la razza degli uomini di ferro, sarà terminato un intero ciclo, dopo il quale seguirà una nuova razza misteriosa. Per Vernant si tratta di un ritorno ciclico delle razze, ma esso non c’entra con alcun eterno ritorno di matrice orfico-escatologica.
“Semplicemente, Esiodo concepisce il corso delle razze umane come simile al corso delle stagioni.”[6]
Ancora, l’origine del male nel mondo degli uomini Esiodo fa derivare da Pandora.
Nell’età del ferro, però c’è ancora speranza di δίχη, poiché la δίχη è mescolata alla βρις, ma non è inesistente. Per queste ragioni, in disaccordo con Edelstein, si può dire che Esiodo non fu poi così pessimista, nella misura in cui Senofane non era tanto ottimista. Dissentiamo da Edelstein che vuol vedere in Senofane le sorti dell’uomo nel tempo magnifiche e progressive oltremisura, anche se il Colofonio rappresenta il capostipite dei sostenitori occidentali dell’idea di progresso. L’idea di progresso nel tempo è presente in Senofane, ma in termini più riduttivi rispetto a quelli, illimitati, delle conclusioni di Edelstein.
Nella Teogonia di Esiodo il canto delle Muse è ξ ρχς. Dal pensiero mitico si passa al pensiero razionale che tuttavia recupera alcuni aspetti del pensiero mitico: attraverso l’iniziazione orfica o eleusina è possibile ricostruire un percorso di questo genere. Esiodo sottolinea che la sua è poesia di verità. La consapevolezza poetica nasce in lui nella distinzione tra Musa menzognera e Musa veritiera: l’ispirazione delle Muse è strettamente connessa alla persona che la canta, cioè alla verità della poesia, per cui il cantore non perde la propria personalità. Così ogni aedo dirà cose veritiere, mentre prima di Esiodo il cantore era solo espressione della poesia magico-religiosa e, del resto, nella Poetica Aristotele formulerà la distinzione tra il vero fantastico e il vero storico (la poesia si occupa delle cose che potrebbero avvenire, la storia delle cose che sono avvenute). Esiodo non fa che constatare due diversi tipi di poesia. Nel momento in cui si pensa alla tradizione come a un dato di verità, non c’è critica. Quando si insinua la possibilità delle differenze tra cantore e cantore, proprio allora si introduce anche la critica.
In Esiodo il passato è origine primordiale della realtà. Vernant individua il senso religioso conferito al poeta che è autore di un messaggio sacro. Non c’è separazione tra passato-presente-futuro, perché le divinità non muoiono (nel mito ittita, per inciso, le divinità muoiono). Allontanandoci dal presente, ci distacchiamo allora solo dal mondo visibile ma senza la parola del poeta non possiamo accedere all’invisibile.
La storia che Μνημοσύνη canta è un deciframento dell’invisibile, una geografia con l’Olimpo in alto e il Tartaro in basso. La memoria non abolisce il tempo né lo ricostruisce. Invece, nel linguaggio mitico, la memoria getta un ponte tra il mondo dei vivi e l’al di là.
Detienne si richiama ai principi di semantica strutturale che vogliono il metodo della sincronia, che tuttavia egli deve ampliare per la scarsezza dei testi antichi prendendo in considerazione anche il metodo diacronico, esaminando il livello mitico di Άλήθεια. Lo studioso francese pone in luce le variazioni di analogia che caratterizzano la concezione arcaica di Άλήθεια e la legano a altri concetti. Segna distintivi della parola efficace magico-religiosa del poeta, che è dotato di onniscienza divinatoria e la sua parola è asserzione di verità, il poeta ispirato equivalendo in questo modo al profeta e al re di giustizia. Verità e realtà vengono a coincidere, con la differenza che la parola del poeta può creare anche l’illusione della realtà (in questo caso diventa strumento di menzogna e inganno).
Nello stadio mitico un determinato concetto può porsi nel suo opposto. Nella Teogonia (v. 27) le Muse possono dire delle menzogne simili a verità, in uno stadio intermedio tra il mitico e il razionale.
Questa logica dell’ambiguità si trasforma nella logica della contraddizione, tipico della sofistica ma anche delle sette religiose (bene/male, buono/cattivo, giusto/ingiusto, ecc.). Per il passaggio dal μθος al λόγος fu ovviamente necessario l’avvento della struttura sociale della πόλις ma, in definitiva, Detienne:
1. esclude dalla sua analisi ogni aspetto profano;
2. applica la metodologia del campo semantico;
3. individua ambienti sociali che conferiscono ad Άλήθεια una diversa caratterizzazione (se si parte da una Άλήθεια differenziata, questo concetto corrisponde a una valutazione razionale del concetto stesso).
La verità del poeta è assertoria. Nessuno la contesta, nessuno la dimostra perché, derivando dalla divinità, essa è verità.
Se il poeta è veramente ispirato, se egli è veggente, anche la sua parola è parola di verità ed è dotata di veggenza. Ma nel passaggio tra Memoria-Musa-Άλήθεια soltanto Μνημοσύνη e Musa hanno valenza mitica.
Άλήθεια non ha ruolo di potenza religiosa: sono realtà religiose solo la Musa e la memoria. La bellezza del canto, da parte sua, non è solo naturalmente la bellezza formale, ma anche quella del canto nel suo contenuto. Calliope accompagna i re. Il canto ha la funzione di argomento che si canta, accompagnando anche i re venerandi.


[1] L. Edelstein, L’idea di progresso nell’antichità classica, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 55.
[2] XENOPHANES, B. FRAGMENTE, ΣΙΛΕΟΙ, 18 [16 K., 16 D.]. STOB. Ecl. I 8, 2. Flor. 29, 41, attualmente reperibile in I Presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle, con un saggio di Walther Kranz, a c. di Alessandro Lami, Milano, BUR, 1991, 2005, pp. 192-193.
[3] Cfr. J.-P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, 3ª ed., Torino, Einaudi, 1984, pp. 15-90.
[4] Op. cit., p. 53.
[5] Ibid.
[6] Op. cit., p. 82.