giovedì 1 settembre 2011

INNO TERZO. PALLADE (incompiuto)


III, vv. 169-281

Mesci, odorosa Dea, rosee le fila;
E nel mezzo del velo ardita balli,
Canti fra 'l coro delle sue speranze
Giovinezza: percote a spessi tocchi
Antico un plettro il Tempo; e la danzante
Discende un clivo onde nessun risale.
Le Grazie a' piedi suoi destano fiori,
A fiorir sue ghirlande: e quando il biondo
Crin t'abbandoni e perderai 'l tuo nome,
Vivran que' fiori, o Giovinezza, e intorno
L'urna funerea spireranno odore.

Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;
E ad un lato del velo Espero sorga
Dal lavor di tue dita; escono errando
Fra l'ombre e i raggi fuor d'un mirteo bosco
Due tortorelle mormorando ai baci;
Mirale occulto un rosignuol, e ascolta
Silenzïoso, e poi canta imenei:
Fuggono quelle vereconde al bosco.

Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;
E sul contrario lato erri co' specchi
Dell'alba il sogno; e mandi alle pupille
Sopite del guerrier miseri i volti
Della madre e del padre allor che all'are
Recan lagrime e voti; e quei si desta,
E i prigionieri suoi guarda e sospira.

Mesci, o Flora gentile, oro alle fila;
E il destro lembo istoriato esulti
D'un festante convito: il Genio in volta
Prime coroni agli esuli le tazze.
Or libera e la gioia, ilare il biasmo,
E candida è la lode. A parte siede
Bello il silenzio arguto in viso e accenna
Che non fuggano i motti oltre le soglie.

Mesci cerulea Dea, mesci le fila;
E pinta il lembo estremo abbia una donna
Che con l'ombre i silenzi unica veglia;
Nutre una lampa su la culla, e teme
Non i vagiti del suo primo infante
Sien presagi di morte; e in quell'errore
Non manda a tutto il cielo altro che pianti
Beata! ancor non sa come agli infanti
Provido è il sonno eterno, e que' vagiti
Presagi son di dolorosa vita.

Come d'Erato al canto ebbe perfetti
Flora i trapunti, ghirlandò l'Aurora
Gli aerei fluttuanti orli del velo
D'ignote rose a noi; sol la fragranza,
Se vicino è un Iddio, scende alla terra.
E fra l'altre immortali ultima venne
Rugiadosa la bionda Ebe, costretti
In mille nodi fra le perle i crini,
Silenzïosa, e l'anfora converse:
E dell'altre la vaga opra fatale
Rorò d'ambrosia; e fu quel velo eterno.

 .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  d’Amor sorelle
Creovvi il Fato, né da lui potrei
Scevrarmi mai, né lo desia la Terra:
Ma quando di sue fiamme arde l’ . . .
Arde il cor de’ mortali e il vostro pianto
L’adiri; allora questo vel vi copra,
Nè v’arderà il suo dardo: e sì ravvolte,
Finchè nell’ira sua freme perverso,
Abbiate albergo questa reggia mia:
E or ospiti improvvise all’elegante
Pittor scendete, e coll’ingenuo riso
Dolce un decoro pioverà alla tela;
Nitido il verso suonerà al Poeta, . . .
. . . .  . . .  . . .

E il velo delle Dee manda improvviso
Un suon, qual di lontana arpa, che scorre
Sopra i vanni de’ Zeffiri soave;
Qual venia dall’Egeo per l’isolette
un’ignota armonia, poi che al reciso
Capo e al bel crin d’Orfeo la vaga lira
Annodaro scagliandola nell’onde
Le delire Baccanti; e sospirando
Con l’Jonio propinquo il sacro Egeo
Quell’armonia serbava, e l’isolette
Stupefatte l’udiro e i continenti.

Addio, Grazie: son vostri, e non verranno
Soli quest'inni a voi, né il vago rito
Obblïeremo di Firenze ai poggi
Quando ritorni April. L'arpa dorata
Di novello concento adorneranno,
Disegneran più amabili carole
E più beato manderanno il carme
Le tre avvenenti ancelle vostre all'ara:
E il fonte, e la frondosa ara e i cipressi,
E i serti e i favi vi fien sacri, e i cigni
Votivi, e allegri i giovanili canti
E i sospir delle Ninfe. Intanto, o belle,
O dell'arcano vergini custodi
Celesti, un voto del mio core udite.
Date candidi giorni a lei che sola,
Da che più lieti mi fioriano gli anni,
M'arse divina d'immortale amore.
Sola vive al cor mio cura soave,
Sola e secreta spargerà le chiome
Sovra il sepolcro mio, quando lontano
Non prescrivano i fati anche il sepolcro.
Vaga e felice i balli e le fanciulle
Di nera treccia insigni e di sen colmo,
Sul molle clivo di Brïanza un giorno
Guidar la vidi; oggi le veste allegre
Obliò mesta e il suo vedovo coro.
E se alla Luna e all'etere stellato
Più azzurro il scintillante Eupili ondeggia,
Il guarda avvolta in lungo velo, e plora
Col rosignol, finché l'Aurora il chiami
A men soave tacito lamento.
A lei da presso il piè volgete, o Grazie,
E nel mirarvi, o Dee, tornino i grandi
Occhi fatali al lor natio sorriso.

Ugo Foscolo