lunedì 30 aprile 2012

Dizionario Latino di Rusconi Libri (2011). Una recensione




È irrituale recensire un vocabolario, e questa decisione verrà forse interpretata dal malevolo lettore come una provocazione situazionista, considerando la produzione letteraria italiana contemporanea. Che cosa invece ci ha spinti ieri a prendere presso un ipermercato un piccolo dizionario latino-italiano italiano-latino? Viene fatto di rispondere: pura bibliomania. Ma, a parte questo, pur constatando che a casa mia non mancano vocabolari di latino e greco, mi ha sedotto la sua ridotta, ma non piccolissima, mole materiale. Mi capita che durante un viaggio più lungo portandomi dietro il computer ogni volta rinuncio al vocabolario di latino, sia al Georges sia al Castiglioni-Mariotti (impropriamente detto IL, come un articolo laddove si tratta di una sigla per italiano-latino) semplicemente perché mi prenderebbero troppo spazio, e questa rinuncia è fatta sempre malvolentieri, ma non mi fido dei vocabolari on line. La prossima volta, invece, sarà più agevole questo piccolo Dizionario Latino di Rusconi Libri (2011).
Certo soltanto a uno studente poco motivato o ai principianti (ma solo in una breve fase, per cui tanto vale passare subito ai grandi dizionari) oppure a un esperto che si trovi in circostanze ambientali insolite è lecito far uso di uno strumento come questo, dove dei vocaboli latini non vengono riportate che poche parole tradotte, le aree semantiche non sono suddivise, non si può consultare l’epoca del termine mancando la trascrizione degli autori di riferimento, non si può distinguere l’espressione dialettale, non c’è un minimo cenno di grammatica storica comparativa; viceversa, non mancano i genitivi dei sostantivi né i paradigmi dei verbi. Del resto, come ha scritto Rossana Valenti, «la didattica dell’antico non si identifica con l’insegnamento di nozioni e saperi considerati anacronismi inutili, un corredo mentale di cui la società ha deciso di fare a meno, ma è piuttosto la via maestra, se non l’unica, per portare nel mondo nuovo le radici che ci hanno alimentato, le parole ricche del senso che uomini saggi hanno tentato d’infondervi, e che vogliamo ancora pronunciare e condividere, le idee che non vogliamo smettere di pensare» (Il latino dentro e oltre la scuola. Memoria, identità, futuro, Loffredo 2011, p. 11). 
Tornando alla motivazione iniziale, mi viene in mente un aneddoto tramandato negli ambienti universitari napoletani riguardante Benedetto Croce, notoriamente bibliomane il quale, essendogli stato detto con ammirazione da una signora che lo aveva colto mentre frugava su una bancarella di San Biagio dei Librai: “Maestro, vedo che si mantiene in spirito…” (Croce non era laureato), rispose, alludendo al proprio carattere ruvido: 
“No, mi mantengo in aceto!” 



sabato 21 aprile 2012

Mostra in memoria di Antinoo a Tivoli. Una recensione



È in corso a Tivoli, presso Villa Adriana, dal 5 aprile al 4 novembre 2012 la mostra intitolata Antinoo. Il fascino della bellezza, dedicata al favorito di Adriano che annegò nelle acque del Nilo e cui l’imperatore tributò onori divini dopo la morte. L’importanza di questa iniziativa è una riprova tangibile del principato umanistico (come esaltazione della conoscenza filosofica in senso sia formale sia lato) di Adriano (117-138 d.C.) che insieme a Antonino Pio e Marco Aurelio si impose come un’anomalia del regime illiberale che durava dall’epoca dei Giulio-Claudi e non avrebbe più conosciuto eccezioni successive a parte forse i soli Galieno e Giuliano l’Apostata.
Antinoo non era che un ragazzo dotato di qualità intellettuali e morali tutto sommato ordinarie, quello che doveva aver attratto il principe fu la simbolizzazione del proprio progetto di riforma estetica nell’ambito dell’amministrazione delle province, che vide incarnato in lui quando lo conobbe in Bitinia. La novità di questa mostra è soprattutto nell’egittizzazione dell’erómenos associato al culto di Iside e nella rappresentazione speculare di sguardi col maturo erastés che appare, secondo l’inconografia ufficiale, sempre con la barba all’uso dei filosofi antichi di contro all’espressione consapevole e malinconica dell’altro. Il protocollo che dai tempi di Augusto riservava la deificazione soltanto ai membri della famiglia reale fu comunque clamorosamente rotto nonostante lo sconcerto silenzioso di un senato del resto, dopo la morte di Cesare, esautorato di qualsivoglia funzione effettuale.
Si avverte il potere illimitato del principe, la cui presenza metteva a disagio Frontone e dall'autoritarismo evidente. Il cordoglio per il lutto fu universale, la morte di Antinoo lo gettò in una disperazione che arrivò tuttavia a imbarazzare la corte, già trasferita in gran parte da Roma alla Villa, che è una vera e propria città, anche più grande di Pompei. Oltre alle ipotesi già formulate del suicidio e di un banale incidente, è probabile che Antinoo sia caduto per volontà di altri cortigiani smaniosi di prenderne il posto. Le Memorie di Adriano della Yourcenar sono pur sempre il più espressivo documento romanzato, ma basato sull’Historia Augusta, delle vicende di questo singolare imperatore, assimilabile ad Augusto (amico di Mecenate e del filosofo Areio) e al macedone Antigono Gonota. I suoi numerosi viaggi non furono tanto i capricci di un esteta quanto un vero e proprio metodo di governo, Adriano arrivò tardi al trono e grazie a un raggiro col prefetto del pretorio e con Plotina, moglie del predecessore Traiano, che lo nominò erede solo in punto di morte, l’8 agosto 117. Anche gli storici antichi dubitavano della legittimità della successione.





venerdì 13 aprile 2012

“Torno subito”






Una ventina di giorni fa, ai primi di agosto, sono andato a cena con Elsa Morante. Faceva un gran caldo, Roma era deserta. Come due cani fedeli, ci siamo incontrati in una vecchia trattoria di via della Vite. Abbiamo litigato. Devo confessare che mi sentivo, a quella temperatura da vapoforno, depresso, inacidito e infelice. Non ricordo che cosa ordinammo. Ricordo che a un tratto mi trovai a profetare per il mondo un destino insieme sinistro e ottimistico. Dissi a Elsa che tutti i lamenti contro la civiltà attuale erano il frutto della nostra miopia. In realtà, siamo gli epigoni di una stagione umana che ha avuto un inizio e avrà la sua fine. Ma contro tutti i piagnistei di moda, questa fine sarebbe stata vittoriosa. […]
Ricordo adesso che la Morante stava mangiando delle ovoline. Mi disse che si stupiva ch’io potessi dire tante sciocchezze. La morte, obiettò, non esiste, è un’apparenza dei sensi. Quello che veramente «è» non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. Della realtà, noi vediamo soltanto una fetta insignificante. A mia volta, la accusai di «spiritualismo». Le dissi che era una mistica, e che tutte le sublimi filosofie orientali mi sembravano terapie inventate per curare un male incurabile. […] Il male dell’uomo, dissi a Elsa facendo del Nietzsche senza volerlo, non è di non potere uscire dalla sua realtà minorata. È di non potere uscire dalla religione. È tempo che ne esca. Ma il prezzo per uscirne, è di sposare la morte. «I tuoi F.P.»  conclusi «non sono affatto felici. Sono vivi. Puzzano di vita. È diverso».
Fu Elsa a proporre di andare a prendere un po’ di fresco nel giardino di un bar. Capii che aveva deciso di sorvolare sulle mie sciocchezze. Ero pieno di vergogna. Ci alzammo e arrivammo fino al bar. Le fui grato di avere cambiato discorso. Ordinai uno yoghurt. E a quel punto, lei mi disse che io non avevo mai letto il Mondo salvato dai ragazzini, e che era inutile che continuassi a mentirle dicendole il contrario. Era chiaro che soffrivo di un complesso nei confronti di quel libro. Mentii sempre più debolmente, la mia buonafede vacillava. Era vero. Avevo letto il Mondo salvato dai ragazzini in fretta e male. Tornai a casa e lo lessi.
[…]
Dimenticavo come poi finì la serata. Elsa tornò sull’argomento (l’ultima parola è sempre la sua), ma solo per un istante. «Sia ben chiaro» concluse «che in ogni modo so già cosa fare quando morirò. Troverete in una busta un biglietto dove ci sarà scritto: “Torno subito”». Poi rovesciò la testa all’indietro, alzando il mento in un gesto di sfida infantile, guardandomi fieramente come spiasse l’effetto della sua prodezza. Mi precedette solo di una frazione di secondo con uno scoppio d’ilarità che risuonò tra i tavoli deserti come un applauso, prima che ci trovassimo a ridere insieme.

settembre 1971

Cesare Garboli, Il gioco segreto. Nove immagini per Elsa Morante, Adelphi 1995, pp. 148-152.