sabato 14 gennaio 2012

La morte di Virgilio di Hermann Broch/1




Il porto di Brindisi, brulicante di vita corrotta e di degradanti segni di sfacelo, accoglie di sera il malandato poeta, stanco e agonizzante. La plebe intorno a lui non lo riconosce, ne è incuriosita soltanto perché lui è al seguito dell’imperatore e dev’essere un personaggio importante. Viene trasportato lentissimamente in lettiga in mezzo alla folla urlante, scomposta – gli lanciano invettive d’invidia, insulti, è paurosamente costretto a chiudersi gli occhi con le mani per non vedere lo spettacolo offertogli della più nera quotidianità miserabile – fino al palazzo imperiale piantonato dalla coorte pretoriana. Un funzionario gli chiede chi sia per verificare se il suo nome è tra quelli degli ospiti e il famoso autore dell’Eneide, non senza risentirne nell’orgoglio, glielo dice: «Sì, Publio Virgilio Marone, questo è il mio nome». Gli si replica solo con un vago cenno affermativo del capo. Per l’intero tragitto dalla nave fin lì, del resto, aveva vagliato malinconico i cupi segni di thanatos devastanti in modo inverosimile, aveva resistito interrogandosi se quello che stava vivendo fosse un avvertimento del destino, una minaccia o l’irrevocabile inizio dell’ultima conoscenza.