venerdì 5 ottobre 2012

Spunti dalla Lectio Magistralis “Doppio ritratto” di Massimo Cacciari







5/10/2012

presso la Cattedrale di Caserta




San Francesco in Dante e in Giotto


Prima di Francesco, la sanctitas era qualcosa di separato da noi, di fronte al quale siamo profani. Nella santità è una separatezza, o almeno una forte distinzione, l’agios (sacro) è una figura ieratica. Questa rappresentazione è totalmente rivoluzionata dalla figura di Francesco, che in Dante (Par., XI) è un segno ultimo escatologico: non può esserci una santità maggiore, dopo Cristo nessuno è stato povero come Francesco.
Il cristiano crede in una storia, legge testi che ritiene rivelati ma che sono una storia e non un trattato, crede che quei fatti sono accaduti realmente come vengono raccontati. La vicenda francescana si articola a sua volta attraverso una serie di storie. La vita di Francesco è un’imitazione della vita di Cristo, la sua è una santità che sconvolge il senso della separatezza bizantina. Di qui la rivoluzione artistica di Giotto e l’irrompere del nuovo linguaggio, il volgare illustre: 
«Questo senso della metanoia francescana, il rovesciamento dei valori che essa comporta (e proprio anzitutto intorno al significato che qui assume lo stesso termine metanoia, dove il nous rinuncia ad ogni primato, si svuota di ogni astrattezza e si invera nell’operari) è lo spirito che aleggia ovunque nell’anima dei ‘fabbri’ dei nuovi linguaggi artistici» (Massimo Cacciari, Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto, Adelphi 2011, p. 13). 
Io mi unisco al divino perché come il Maestro mi incarno e vivo storie figurativamente rappresentabili. Lo spirituale sente il suo corpo come incarnazione del divino. Lo spirituale francescano non ha nulla di spiritualistico, come nulla di spiritualistico ha l’annuncio cristiano. 
In Par. XI, Francesco è sposo di madonna Povertà, «Sole nel Cielo del Sole, ex oriente lux, Assisi nuovo Oriente. Che sia vero profeta lo mostra anzitutto la sua de-cisione dal mondo, il suo venire  “in guerra” col padre terreno, per correre alle nozze mistiche con Povertà» (op. cit., p. 30). 
Questo è il motivo che Dante declina in modo violentemente polemico con la chiesa del tempo. Altissima paupertas, la povertà è un’idea altissima. Dopo Cristo nessuno è stato povero come Francesco. Povertà è la vera imitazione di Cristo, è lo svuotarsi della propria identità, far vuoto in sé per accogliere in sé il tutto, è la kenosis di cui parla san Paolo. L’idea che collega povertà e kenosis è centrale nella mistica francescana. Il tema del perdono si lega teologicamente al tema della povertà, filosoficamente è la possibilità trascendentale del perdono. Francesco è il centro di ogni programma di riforma della chiesa, insieme alla riforma politica: due aspetti consustanziali della visione dantesca. Povertà e perdono non sono intese come sacrificio, ma si legano al tema fondamentale della laetitia:  mostrarsi sempre lieti, laddove apparentemente la tua sofferenza è massima. Francesco si presenta al papa regalmente.