giovedì 22 novembre 2012

Circolo vizioso



Fotogramma dal film La Vocation suspendue di Raoul Ruiz (1977)
(L'histoire de Jérôme, un abbé soupçonné d’être agent double qui remet en question sa vocation, nous est racontée par le montage alterné de deux versions d'un film prétendument inachevé. Des séquences en noir et blanc et des séquences en couleur avec des distributions différentes se succèdent pour éclairer dans des perspectives variées la querelle à l'intérieur de la communauté qui met en branle tout un système de pensée)




Il fondamento antropologico
I quattro Vangeli canonici sono stati sottoposti al vaglio laico, rigoroso, dell’antropologia culturale per distinguere scientificamente ciò che è stato sicuramente detto e compiuto dal fondatore del cristianesimo da quanto è stato invece frutto della trasposizione apologetica degli evangelisti, che neppure compresero appieno la novità eversiva del pensiero cristiano. Ha fatto questo Ida Magli, in Gesù di Nazaret.[i]
La fede, chiarisce subito la Magli, può sussistere senza venir contraddetta dall’analisi antropologica, il cui oggetto è il “documento culturale, proprio in quanto documento culturale[ii], anche se, di conseguenza, la tradizione cattolica quale si è venuta delineando in due millenni di storia sembra aver ribaltato alcune questioni fondamentali che Cristo aveva, viceversa, affrontato e risolto in modo addirittura opposto. Questo sconcerta se si considera, in primo luogo, che la mentalità ebraica è stata superata, a cominciare dal concetto di tempio, ossia di organizzazione clericale e verticistica (il Sinedrio, all’epoca altresì connivente, peraltro per ragioni di forza maggiore, col potere esecutivo romano) e la dimensione della preghiera diviene esclusivamente privata e individuale, non quindi di gruppo, né tantomeno liturgica e, ancora una volta, non ecclesiale né sottoposta alla gerarchia, in quanto non presuppone nel suo svolgersi la funzione mediatrice del ministro di Dio:

I passi dei vangeli da cui appare che sono questi i contenuti più radicali della sua ‘rivoluzione’ nei confronti delle strutture culturali e sociali ebraiche, sono numerosissimi. Ma è sufficiente pensare al: ‘Quando vuoi pregare entra nella tua camera…’ (cfr. vangelo di Matteo, cap. 6, versetto 6); oppure: ‘Quando fai l’offerta, non sappia la destra quello che fa la sinistra’ (cfr. vangelo di Matteo, cap. 6, versetto 3); oppure, ancora: ‘Quando digiuni, non fare la faccia triste’ (cfr. vangelo di Matteo, cap. 6, versetto 16).[iii]

Le due strutture fondamentali del sacro, lo spazio e il tempo, sono state eliminate da Gesù; si predilige al contrario – sempre nella prospettiva antropologica – il rapporto libero e diretto tra uomo e Dio. Perfino il Padre nostro, preghiera insegnata dal Maestro ai discepoli, è più ebraica che cristiana. Alla sessualità che, dalla legge mosaica in poi, costituisce da sempre l’ossessione della spiritualità cattolica nell’ambito della teologia morale, Cristo fa poco o nessun riferimento e senza il moralismo rabbinico. Quando ne accenna, si tratta o di aggiustamenti testuali degli evangelisti o di una loro rimozione, sintomatica per la cultura del tempo:

Gesù sa che è impossibile affrontare il problema della sessualità di per sé, - continua la Magli - come problema a sé stante, perché in realtà esso è presente dovunque è presente il sistema proiettivo della trascendenza. Una volta assunta ad analogia onnivalente della ‘potenza’, la sessualità non può più essere ‘liberata’ dalle innumerevoli implicazioni di cui è prigioniera, ma di cui diventa a sua volta prigione: dovrebbe venire prima sradicata la potenza della parola, dato che su di essa è costruito il vero Potere, quello che domina l’uomo attraverso la morte.[iv]

E anche:

La grande forza di Gesù, del resto, è proprio in questo: avendo fatto cadere il diaframma fra il sacro e il profano, fra il piano di potenza e l’uomo, in realtà ha reso all’uomo disponibile tutto l’al-di-là, tutto il trascendente. Il mondo di-là è riportato di-qua senza più alcuna differenza. Non può, quindi, Gesù non odiare la morte, perché quel diaframma tra l’al-di-là e il-di-qua che lui ha tentato di far cadere viene ristabilito dalla morte, in quanto la morte è comunque la fine del corpo, e fa percepire inevitabilmente il fatto che la ‘rottura’ c’è. Odiare la morte significa amare ogni singolo uomo, perché appunto l’individuazione è possibile soltanto attraverso il corpo, significa amare la vita e l’’umanità’ reale, mondana, dell’uomo, e non la trascendenza.[v]


Dioniso e il Crocifisso
La circostanza in cui, come denuncia Pascal, quello di Descartes, agostinianamente derivato dal reditus in se ipsum, è un Dio filosofico ancora nulla dice contro il cristianesimo di Descartes. Il dubbio metodico è così forte che per dimostrare l’esistenza del mondo Descartes ha bisogno di dimostrare matematicamente l’esistenza di Dio laddove Nietzsche dubita del dubbio cartesiano dal momento che tenta di ricongiungere l’idea tardo-moderna del mondo con le premesse presocratiche di Dioniso. Il mondo nietzscheano, non trovando termine di paragone in nulla e tantomeno in Dio, né nel Dio dei filosofi né tantomeno in quello cristiano, non ha senso né valore alcuno. Ma per superare il nichilismo che ne consegue, restano le visioni di Zarathustra della volontà di potenza e dell’eterno ritorno dell’identico, al di là del bene e del male e non, comunque, al di là del nobile e del meschino.

Non è tanto assurdo sostenere che la morte di Dio – dice Vattimo – che è annunciata da Nietzsche è, in molti sensi, la morte di Cristo sulla croce narrata dai Vangeli. […] Il cristianesimo introduce nel mondo il principio dell’interiorità, in base a cui la realtà ‘oggettiva’ perderà via via il suo peso determinante. La frase di Nietzsche ‘non ci sono fatti, solo interpretazioni’ e l’ontologia ermeneutica di Heidegger non faranno che portare alle estreme conseguenze questo principio. Il rapporto dell’ermeneutica moderna con la storia del cristianesimo, dunque, non è solo quello che sempre si è creduto, e cioè il nesso essenziale che la riflessione sull’interpretazione ha sempre avuto con la lettura dei testi biblici. Ciò che qui propongo è invece che l’ermeneutica, nel suo senso più radicale che si esprime nella frase di Nietzsche e nell’ontologia di Heidegger, è lo sviluppo e la maturazione del messaggio cristiano.[vi]

L’Uebermensch, superando il cristianesimo tradizionale, si sarebbe in Nietzsche sostituito a Dio nel riconoscere la divinità originaria del cosmo (τò θει̃ον), come in Eraclito è il mondo. In ciò non c’è professione di ateismo: Zarathustra è senza Dio ma non senza il cosmo τò θει̃ον, divino. Solo in questo senso è pio Zarathustra, proprio come è qualificato dall’ultimo papa a colloquio con lui.


La Vocation suspendue
Il simulacro sta all’eros come il segno sta all’agape, come Dioniso sta al Crocifisso. Il segno deriva storicamente dal simulacro, e lo continua. Klossowski sarebbe d’accordo con Agostino nell’individuare i dèmoni del male negli dèi greci, del cui nuovo avvento, dissoltasi la spiritualità cristiana nel mondo con la morte dialettica di Dio, Nietzsche era stato profeta. Essi, in definitiva, partecipando della divinità non sono il diavolo nella misura in cui si tratta di una simulazione, di un gioco speculare divino, come ben sapeva Zarathustra, e Agostino era stato ingeneroso nei riguardi della cultura pagana. Ma nella dissimulazione Dio e Satana (anche lui, prima, simulacro) si riappropriano dei rispettivi ruoli. L’idolo si fa carne. Il sistema  delle rappresentazioni di Klossowski non prevede la realtà della transustanziazione, il gioco essendo condotto da Dio che però nel circolo vizioso è assente, non essendoci che simulacri. Il segno riconquista la propria legittimazione distinguendosi dal simulacro, dal divino inganno col quale siamo stati messi alla prova, quali uomini di poca fede o di troppa fede (l’inquietudine non è ignorata che dai santi o dai mediocri). Ma tra realtà e simulacro non c’è più distinzione. Il Doppio prevale nell’ambiguità dei segni: natura uni-duale della divinità, rassomigliando il Maligno esattamente a Dio, incommensurabile quanto la Bontà infinita sarebbe il Male, allora infinito Male quanto l’Infinità divina. Non il trionfo del bene sul male, ma l’eterna vicenda dell’uno e dell’altro e, anzi, la coesistenza di entrambi nella medesima natura riverberantesi in modo speculare nel tempo della storia sarebbe la conseguenza del circolo vizioso di Klossowski.
Ma, ora, il segno è ancora un simulacro? L’esegesi dei segni è impossibile nella parodia di Klossowski. Pur non essendo estranea alle culture pre-cristiane l’idea di una creazione divina, il Dio di Aristotele non ama, ma il Dio di Israele appunto ama, in modo elettivo, personalmente Israele. È un’affermazione che concilia sia la visio del disvelamento illuminante, sia il senso della razionalità auto-cosciente, sia il lumen agostiniano, sia la sua derivazione platonica, suggestioni tutte queste non estranee ad Heidegger. Quindi il confronto critico con l’istituzione e gli adiaphora - non con i fundamenta - individua il circolo vizioso senza smentire necessariamente l’aspetto particolare dell’ufficio sacramentale-ontologico.




[i] Milano 1987, 2004.
[ii]  op. cit., p. 33.
[iii] op. cit., p. 61.
[iv] op. cit., p. 89.
[v] op. cit., pp. 167-168.
[vi] Gianni Vattimo, L’età dell’interpretazione, già in “Eidos”, n. 1, 2003, pp. 17-23, ora in Richard Rorty-Gianni Vattimo, Il futuro della  religione. Solidarietà, carità, ironia, a c. di Santiago Zabala, Milano 2005, pp. 49-50. E naturalmente, del filosofo torinese cfr. Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberzione, Milano 1974, 2003.