sabato 1 dicembre 2012

Nobel per la letteratura 2012






Jean-Paul Sartre rifiutò il Nobel nel 1964 perché altrimenti avrebbe perso popolarità presso i giovani: «il premio non era mai stato attribuito a un comunista - è Simone de Beauvoir ad affermarlo. - Se Sartre lo fosse stato, avrebbe potuto accettarlo, poiché l’accademia svedese, con la sua decisione, avrebbe dato prova d’imparzialità; ma non lo era, e dandogli il premio, non significava affatto che si ammettevano le sue posizioni politiche, ma che le consideravano trascurabili» (A conti fatti, Einaudi 1973, p. 43). Spiega che lei stessa incoraggiava il filosofo in tal senso, mentre secondo la stampa Sartre aveva rinunciato al premio «perché Camus l’aveva avuto prima di lui; oppure perché io ne sarei stata invidiosa» (p. 44). Sorvolando il gossip e decenni di Nobel per la letteratura conferiti ora a ragione ora a torto, quest’anno è toccato al cinese Mo Yan, autore del quale non si è mai sentito parlare molto in Italia. Quasi per caso mi sono trovato tra le mani questo suo piccolo libro: Cambiamenti (nottetempo 2011, trad. it. di Patrizia Liberati), il più recente pubblicato in italiano, un ritratto autobiografico dell’artista da giovane. Da noi la civiltà cinese è conosciuta soprattutto dagli specialisti, per il resto si può tutt’al più arrivare alle vicende della rivoluzione culturale maoista, - che provocatoriamente Alberto Moravia (mai vincitore del Nobel, che andò invece a Gide ma non a Sandro Penna) consigliava al movimento studentesco, - oppure a Cara Cina di Goffredo Parise (che se per questo era tutt’altro che peggiore di Fo).
Diciamo subito che l’autore non è più giovanissimo, essendo nato nel 1956, questa circostanza anagrafica giustifica il ritratto ma senza il genio né il linguaggio di Joyce. Il protagonista è dapprima un bambino povero e infelice, in seguito sarà un adolescente disadattato come da manuale. Ha due aiutanti nel suo percorso di emancipazione: He Zhiwu, un anarchico ribelle che straccia i libri di testo e scappa, o si fa cacciare, dalla scuola, e Li Wenli, una simpatica figura di ragazza perdente. È interessante una certa critica che di tanto in tanto tra le righe si evince nei confronti del regime: «Gli elementi di destra che ci avevano mandato erano tutti intellettuali di alto livello» (p. 23, a proposito dei figli dei membri dell’Azienda agricola di Jiaohe). Provando poi a usare una categoria junghiana nel processo di individuazione che attraversa questo racconto, c’è qualcosa che non torna. Non crediamo alle autobiografie, esse sono per natura false, a meno che la propria esperienza non venga calata in una struttura narrativa complessa che sia di per sé luogo istituito dell’affabulazione. Appunto quella di Simone de Beauvoir, in quattro grossi volumi einaudiani che vanno dal 1958 al 1971 (mi riferisco agli anni delle pubblicazioni, ma come non includervi anche La cerimonia degli addii del 1982, dedicata al resoconto della morte di Sartre?) va oltre il genere.
Qual è allora l’arte di Mo Yan, che contribuisce al benessere dell’umanità al punto di motivare il prestigioso riconoscimento negato a tanti altri e ricusato da Sartre ma accettato da Camus? Da universitario il giovane io narrante nutre ambizioni letterarie: «Mi abbonai alle riviste Letteratura del popolo e Arte e letteratura dell’Esercito Popolare di liberazione e, a partire dal settembre del 1979, iniziai a studiare Creazione letteraria. Scrissi Mamma, un racconto breve, poi un’opera teatrale in sei atti intitolata Divorzio» (p. 62).  Tenta dunque un riscatto attraverso la letteratura. Ci riesce? Editorialmente non ancora: la rivista  Arte e letteratura gli restituisce Divorzio, lui brucia i suoi manoscritti nella caldaia e così via, attraverso pagine abbastanza confezionate e poco avvincenti. Ma come si fa a ignorare scrivendo i risultati di Joyce? Va bene il processo di liberazione, da “uomo senza qualità” alle “ambizioni sbagliate” moraviane, ma Joyce e Musil dove li ha messi l’accademia svedese?

Sandro De Fazi per l’Estroverso, dicembre 2012

Aldo Moro in alcune parole di Paolo VI (1978)



Preghiamo per l'onorevole Aldo Moro, a noi caro, sequestrato in vile agguato, con l'accorato appello affinché sia restituito ai suoi cari.
Angelus, 19 marzo 1978

A noi pare di ascoltare le ultime parole gridate a gran voce dal morente Crocifisso: «Eloi, Eloi, lama sabactani», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Marc. 15, 34).
Messaggio radio-televisivo al termine della Via Crucis, 24 marzo 1978

Raccogliamo quanto ancora ci resta di umana energia e ci sovrabbonda di sovrumana certezza per fare a voi tutti eco beatissima all’annuncio che attraversa e rinnova la storia del mondo: Cristo è risorto!
Messaggio Urbi et orbi, 26 marzo 1978

Già circa venti giorni sono trascorsi da quando fu versato il sangue innocente di cinque Militi e l’on. Moro fu rapito, e tra questi giorni erano anche quelli pasquali, sacri alla morte e alla risurrezione del Signore.
Noi non abbiamo alcun particolare indizio sullo stato di fatto; ma Noi rivolgiamo tuttavia agli ignoti autori del terrificante disegno un appello vivo e pressante per scongiurarli di dare libertà al prigioniero . È già troppo alto il prezzo pagato col sangue e con la desolazione in cinque famiglie; e sono così disumane la sofferenza del rapito, l’angoscia silenziosa dei suoi cari, il trauma della coscienza pubblica!
Regina Coeli, 2 aprile 1978

Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d'avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo.
Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d'un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore. Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento d'un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova.
Dal Vaticano, 21 aprile 1978
Lettera alle Brigate Rosse

Di Aldo Moro? Nessuna altra notizia. Abbiamo trepidato ieri, alla scadenza dell'ora fissata dagli anonimi autocostituitisi giudici unilaterali e carnefici; e trepidiamo ancora, sempre sperando e pregando che sia risparmiata a Roma, all'Italia, al mondo, e specialmente alla famiglia, agli amici, la consumazione del criminale annunciato misfatto. Questa attesa Ci lascia ancora sperare.
Regina Coeli, 23 aprile 1978

Come certamente voi tutti sapete, ieri è stato compiuto, qui a Roma, un fatto tristissimo, un delitto orribile. È stato ucciso vilmente l'onorevole Aldo Moro. Era una persona di grande autorità, un uomo politico di molta importanza e di carattere buono e tranquillo. La sua uccisione premeditata, calcolata, compiuta di nascosto e senza pietà ha fatto inorridire la città, tutta l’Italia e ha commosso di sdegno e di pietà il mondo intero. Noi lo abbiamo conosciuto fino dagli anni della sua giovinezza, fino a quando era studente all’Università. Era uomo buono e savio, incapace di fare male ad alcuno; professore molto bravo e uomo di politica e di governo, persona di grande valore, padre di famiglia esemplare, e ciò che più conta era un uomo di ottimi sentimenti religiosi, sociali ed umani. Questo delitto ha scosso tutto il mondo delle persone oneste, tutta la società; è come una macchia di sangue, che disonora il nostro Paese; tutti ne parlano, tutti ne sono indignati; e anche voi, giovani e fanciulli riuniti in questa Basilica, provate orrore e dolore per questo avvenimento.
Udienza generale, 10 maggio 1978

E ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido e il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci!
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui, Signore, ascoltaci!
Fa', o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che, pur nelle tenebre della morte, ancora intercede tra i defunti da questa esistenza temporale e noi tuttora viventi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta. Non è vano il programma del nostro essere di redenti: la nostra carne risorgerà, la nostra vita sarà eterna! Oh, che la nostra fede pareggi fin d'ora questa promessa realtà. Aldo e tutti i viventi in Cristo, beati nell'infinito Iddio, noi li rivedremo!
E intanto, o Signore, fa' che, placato dalla virtù della tua Croce, il nostro cuore sappia perdonare l'oltraggio ingiusto e mortale inflitto a questo uomo carissimo e a quelli che hanno subito la medesima sorte crudele; fa' che noi tutti raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l'eredità superstite della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione italiana!
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Prima che termini il rito di suffragio, nel quale abbiamo pregato per la pace eterna di questo nostro fratello, noi leviamo le braccia a benedire quanti sono presenti in questo Tempio o, non avendo potuto trovar posto entro le sue mura, sono restati nella piazza, ed ancora tutti quelli che, pur lontani, sono a noi uniti spiritualmente: in particolare intendiamo abbracciare con questo nostro gesto paterno anche quanti portano nel cuore strazio e dolore per qualche loro congiunto, vittima di simile efferata violenza. Anche per queste vittime si estende la nostra afflitta preghiera. Su tutti invochiamo, apportatrice di serenità e di speranza, la confortatrice assistenza del Signore.
Preghiera per l’on. Aldo Moro, San Giovanni in Laterano, 13 maggio 1978

(Paulus Pp. VI)