venerdì 26 dicembre 2014

Ultimi stati di Facebook (ottobre-dicembre 2014)

Ho assistito alla lectio magistralis di Cacciari Pensare l’eterno, per cui in definitiva l’eterno è totalmente degli enti e dei tempi non contingenti ma in sé eterni proprio come questi enti che siamo e questi tempi. Provo qui aionicamente, per così dire e sia pure brevemente (tralasciando irresistibili provocazioni che non riporto in questa sede, come ad es. la discussa paternità platonica del X libro della Repubblica, o una sottile polemica che ho colto col pensiero debole) a tracciare qualche mia minima sintesi, almeno stando a quel che ho capito io. Ebbene: partendo dal presupposto che la vita aionica (qui si fa riferimento ovviamente alla classica dicotomia αἰών/χρόνος) è così piena e così vita da apparire opposta al mortale e che nel divenire per definizione non può esserci alcuna immortalità – l’eternità essendo la vita perfetta in sé, e il paradiso regnum perpetuae libertatis (Tommaso, ma cfr. anche Plotino, Boezio) e aeternitas tota simul (Tommaso) - l’eternità, da non confondersi con l’infinità, è compresenza di tutti i tempi e di tutti i mondi. Ma, questo l’ho trovato entusiasmante proprio nel senso etimologico, l’eterno vuole l’eternità dell’ente stesso, dunque quei tempi e quei mondi non sono contingenti. Detto in termini non filosofici, il Signore non vuole l’ente mortale. Anzi, l’ente è in sé immortale (cfr. il grande pensiero idealistico), o l’eternità del mio atto di pensare, che in sé è eterno, mai cessa, sempre è (attualismo di Gentile, l’eternità appunto come atto di pensiero). Quindi si può parlare dell’indisgiungibilità – non di indistinguibilità – dell’Eterno con l’eternità dell’essente. Tutti gli esseri di tutti i tempi sono nell’eterno: ma in quanto eterni (aionici). Pensare l’eterno significa pensare noi stessi in questa chiave di immortalità.
3 ottobre 2014
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La tesi secondo cui Pompei fu distrutta il 24 ottobre anziché il 24 agosto del 79 d.C. non mi convince. La recensio sistematica della lettera di Plinio il Giovane a Tacito ha sempre scelto come melior la lezione a.d. IX Kal. Sept., laddove le altre erano deteriores e dunque già state scartate neppure in sede di iudicium (in quanto non di pari autorità rispetto alla scrittura dell’archetypum). Oppure ci si mostri con maggiore evidenza il nuovo stemma, chiarendo quale posto spetti all’exemplar nei confronti del capostipite. Quanto alle fonti incrociate, per esempio il numero dei trionfi di Tito (quattordici entro la datazione classica, smentita dalla quindicesima acclamazione avvalorata dalla nuova tesi), si dimentica evidentemente che Tito aveva già trionfato nel 71 con la legio X Fretensis su Gerusalemme mentre il suo principato comincia solo nel 79, perciò bisogna vedere da quale trionfo si parte nel conteggio e chi lo fa. Insomma, andiamoci cauti, non è affatto dimostrata la lezione a.d. IX Kal. Nov., mi pare improbabile tutto questo poligenismo esteso a tutta la tradizione.
30 novembre
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È indubbio che il virtuale dia emozione, in fondo questa è la motivazione principale che spinge all'uso dei social network. Però c'è da fare una considerazione ulteriore a questo riguardo: ai tempi di Internet, le relazioni interpersonali si vanno sviluppando sempre di più in senso platonico. C'è addirittura chi si fidanza - e si sfidanza - virtualmente, senza mai aver visto di persona l'altro. E non fanno questo soltanto gli adolescenti. È evidente che è un gioco oppure è nevrosi, ma ha tutta l'aria di essere qualcosa di patologico proprio perché le persone coinvolte mostrano di prendere estremamente sul serio i loro rapporti. Ritorniamo all'amor platonico, alla coscienza dolce stilnovistica. Ma il sentimento amoroso per sua natura vuole annettersi fisicità, se non altro nel senso della corporeità, della presenza fisica. Quel che dà da pensare è che tra dieci o vent'anni questa nevrosi, se non psicosi, diventerà normale, dunque andremo incontro a un'ulteriore alienazione e, al meglio, sublimazione dei rapporti che ben poco conserveranno così di "umano" o di "platonico".
5 dicembre 2014

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Certo piace a Norbert pensare che Zoe rifiuti la sua amicizia per amore. Un tale rapporto sarebbe stato impossibile, come quello amoroso, perché Zoe non lo ama e se istituissero tra loro l'amicizia, non sarebbe possibile per nessuno dei due. Non se ne esce; perciò ha forse ragione Barthes a sostenere che in realtà è Norbert che delira e, assumendosi la responsabilità della situazione, è Zoe che ama.
19 dicembre

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Mi è capitato di rivedere il film di Martone, di cui qui diedi un giudizio negativo. Sostanzialmente lo ribadisco, per il taglio fortemente divulgativo, anche se stavolta ho trovato il film cinematograficamente ben riuscito, soprattutto per merito dell’interpretazione di Elio Germano.
Scrissi così il 20 ottobre scorso:
«Sono andato a vedere questo Giovane favoloso. E' un film pieno di valori cosiddetti medi, con qualche rara perla. L'attore che interpreta il ruolo di Leopardi è per es. davvero bravo, anche se questo non è sufficiente per tenere in piedi tutto il caravanserraglio del film. Che inizia coi soliti luoghi comuni su Silvia e la siepe e non si riprende molto andando avanti. I dialoghi sono mediocri, o quando non lo sono questo dipende dai testi saccheggiati di Leopardi, specialmente dalle lettere e dalle Operette morali. Ma Leopardi è soprattutto nello Zibaldone, di cui si è vista poca e rara traccia. La cosa non mi ha sorpreso affatto. L'attrice che fa la parte di Adelaide Antici è una perfetta madre-matrigna come la natura. Il fratello Carlo e la sorella Paolina non erano così belli come appaiono qui. Quel che ho trovato irritante, o grottesco, è la scelta dei testi, piuttosto ovvia: e sì che ce n'era di materiale, ma allora avremmo avuto un film di Derek Jarman e non questo. Il lungo periodo iniziale recanatese rende bene il senso di claustrofobia ma non di liberazione che pure c'era nella vita di Giacomo (da questo punto di vista, Nelo Risi, di cui parla Minore, aveva fatto già un discorso più elaborato). Per il resto, Antonio Ranieri era biondo e occhicerulo e il corrispondente interprete, bruno o tutt'al più castano, è fuori parte. La non-storia con Fanny Targioni-Tozzetti che, certo, finiva per essere una storia essa stessa, è raccontata male. Ho riso, questo sì, di cuore vedendo “'o ranavuottolo” dare i numeri per Napoli, richiesto dal popolo in cui si immergeva ecc. - vicenda certo ignota ai più. Anche sulla vexata quaestio della love story con Ranieri il regista non prende posizione, a differenza di de Ceccatty il cui libro contiene di fatto una sceneggiatura di gran lunga più bella e interessante di questa. Belle scene - neppure bellissime -, qualche citazione dalla vita di Nietzsche via Visconti/Cavani per la scena del bordello che è stata inserita, ma di marca decisamente inferiore. Insomma, è un film che va bene per chi non è abituato a frequentare Leopardi.»
È il caso inoltre di ricordare che Martone deve il titolo ad Anna Maria Ortese, che scrisse in Pellegrinaggio sulla tomba di Leopardi (ora in Da Moby Dick all'Orsa Bianca, Adelphi 2011, pp. 11-19):
"Così ho pensato di andare verso la Grotta, in fondo alla quale, in un paese di luce, dorme da cento anni il giovane favoloso" (p. 11).
22 dicembre
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Dice l'Angelo (necessario anche lui, ma che può essere tanto Polis quanto Tetis*):
“Che beata ingenuità hanno in tanti! A mezzanotte è nato, muore il giovedì e risorge la domenica, come fosse la sorte degli dèi primordiali descritta da Eliade. Poi c'è chi attacca sulla favoletta. Ma appunto tutto questo è instrumentum regni, o tutt'al più è religione nel senso negativo di Barth. La fede è un'altra cosa, prescinde dalla documentazione storica che - lo ammetteva pure Guitton e lo sanno papi e cardinali da sempre, a parte il testimonium flavianum, che però è probabilmente interpolato stando a quanto risulta alla scienza umana - manca totalmente. Non c'è nessun bisogno di cercare prove, niente cambierebbe nemmeno se si scoprisse che il sepolcro non era affatto vuoto!”
*Cfr. Petrolio, Appunto 3

25 dicembre
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Ho riletto – epoché fenomenologica nel giorno di S. Stefano – le Metamorfosi di Apuleio. Impossibile senza pensare agli autori di cui è stato fonte: Boccaccio in primo luogo, ovviamente, Collodi o addirittura Kafka ecc.; Andreuccio da Perugia è già in nuce in II, 2 e sgg. Al confronto il Satyricon è più dionisiaco, o L’asino d’oro è dionisiaco in un altro modo, anche se alcune espressioni sono post-classicamente assai felici: natura crescebat (III, 24) che Marina Cavalli traduce “la verga mi era diventata enorme”); perfectus asinus et pro Lucio iumentum (III, 26); le parole della dea Venere                                                                                                                                               a Mercurio: Frater Arcadi,  scis nempe sororem tuam Venerem sine Mercuri praesentia nil umquam fecisse (VI, 7). Infine che cos’è la magia di Apuleio? La teurgia, si sa, ma soprattutto quelle nostri sermonis artes (IV, 21)  per es., che si colgono solo nel testo latino, specialmente quando il “romanzo” di Lucio diventa la favola di Amore e Psiche. Una lingua ormai semibarbarica, quasi latinobarbarica che ritorna agli usi arcaici sempre seguiti nel frattempo dal volgo latino e successivamente dalle lingue moderne (cfr. a questo proposito Leopardi, Zib. 2298, 28. Dic. 1821.), una prosa che non conosce più il “numero” della tradizione precedente (Zib. 4028, 10. Feb. 1824). Magari ci fosse oggi un Apuleio… dov’è­? dov’è?   
26 dicembre

                                                                                                                                                                                              














Presentazione de IL FENICOTTERO di Renzo Paris (Succivo, 28 novembre 2014)