giovedì 31 marzo 2016

uno spirito convinto che l’appello sia illusorio

«In base a che cosa potete decidere che una vocazione è autentica, dal momento che secondo voi, se ho afferrato bene il vostro pensiero, non c’è voce che, di lassù, chiami colui che crede di udire questa voce abbastanza nettamente per obbedirle? e la Chiesa che, tutta intera, si è levata all’appello di quella voce e che accoglie coloro che obbediscono all’appello, come può pensare di venire a consultare uno spirito convinto che l’appello sia illusorio e che la voce non abbia mai chiamato?» «Io non discuto la realtà del fenomeno né la sua espressione nel mondo che l’uomo ha costruito a partire da un tale fenomeno, il punto non è qui; gli attribuisco un’altra origine, origine che ritrovo nelle forze che abitano lo spazio infinito e irriducibile della psiche umana. È per questo che mi è possibile intendermi, in una certa misura, con la Chiesa, e la Chiesa da parte sua mi dà fiducia e apprezza il mio punto di vista quando si tratti di capire se, in una persona, non ci sia nulla che le impedisca di morire completamente al mondo, di aderire a questa morte senza che questa morte e l’abito che la rappresenta  agli occhi degli altri uomini come di colui che osa portare l’abito, senza che tutto questo sia una mascherata, un travestimento di una delle forze dell’anima rispetto a un’altra forza dell’anima. In poche parole, perché ci sia vocazione autentica – non riesco a usare altro termine se non quello che è tradizionale – perché ci sia risposta valida all’appello, occorre avere compreso il Maestro quando ci invita a seguirlo; che altro vuol dire: obediens usque ad mortem crucis, se non che con tutta l’obbedienza di un figlio amoroso, egli ha, sulla croce – questo letto nuziale – abbracciato sua Madre, la Morte, alla quale ci ha convitati». «Volete dire che la Chiesa… - domanda Jérôme, - volete dire che Nostra Santa Madre Chiesa non sarebbe che l’immagine…»  «La Chiesa non dice che cosa essa è, - dice Persienne, - ma sa che io lo so».

Pierre Klossowski, La vocazione interrotta, a cura di Guido Neri, Einaudi 1980, pp. 54-55




Il fascino dell'inespresso

La lunghezza d’onda passa al di là di corpi e luoghi, specie quando sussistono affinità elettive. Perciò gli amori mentali sono i più belli, pur non annettendosi fisicità su nessun piano.



martedì 29 marzo 2016

appari, come vorresti essere

«[18]

Socrate: sii come vorresti apparire: il criterio è l’apparenza.
Machiavelli: non curarti di chi e di come sei; se puoi soltanto apparire, sembrare. Nella sfera in cui agisci non importa che cosa sei. Ergo: appari, come vorresti essere.»


Hannah Arendt, Quaderno XXI


lunedì 28 marzo 2016

Marie-Jeanne Roland de la Platière

«Madame Roland, sul patibolo, chiese materiale per scrivere, per annotare i singolarissimi pensieri che le erano venuti nell’ultimo tragitto. Peccato che glielo si sia rifiutato! Giacché alla fine della vita vengono alla mente in sé raccolta pensieri fino allora impensabili. Essi sono come demoni beati che si assidono risplendendo sulle cime del passato.»


Goethe, da Kunst und Alterthum, secondo fascicolo del quinto volume, (Detti sparsi), 1925, in Massime e riflessioni, 258



venerdì 25 marzo 2016

Venerdì, 25 marzo 2016

Sono tornato indietro nella mia decisione, che era piuttosto una curiosità, di andare a vedere La macchinazione. Massimo Ranieri è anche un bravo attore ma lo vedo improbabile nei panni di Pasolini. Non mi entusiasma affatto il sensazionalismo, la spettacolarizzazione dell’omicidio, il cercare a ogni costo un complotto politico. Aveva ragione Moravia, dopotutto: fu un incidente, come andare sotto un tram. 


giovedì 24 marzo 2016

LENTA GINESTRA di Toni Negri/1

1. Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi (Mimesis, 2015) di Antonio Negri è un libro corposo dalle molteplici possibilità interpretative, dichiarate e non, che ha già dato l’abbrivio a una varietà di letture e silenziamenti evidenziati dallo stesso autore nella prefazione alla seconda edizione.
Di fondamentale importanza è il nesso che viene a stabilirsi tra il pensiero leopardiano, a partire dalla canzone All’Italia, e la cultura europea. L’Italia non vi aveva più partecipato dall’età rinascimentale, dopo le angustie del seicento e l’opera esteticamente futile, sia pure storicamente basilare per i poeti successivi, del Marino e soprattutto dopo le vicende violentemente censorie e repressive toccate a Galileo e Bruno. Tuttavia Negri salta - e si capiscono i suoi motivi - per arrivare a Leopardi tutta la grandiosa esperienza di Parini (tutto sommato organico all’aristocrazia italiana e all’Austria, a mio avviso, ma coi risultati estetici che conosciamo) e del neoclassicismo italiano, compreso Foscolo (poeta civile di destra). Alla base del fare poetico c’è la memoria. Ma si capisce presto che tanto quella di Leopardi quanto quella di Negri è una rivendicazione dell’essere e insieme una riorganizzazione del piano della storicità individuale e dunque comune e politica. La demistificazione è il lavoro della critica, che ha un tessuto etico, perché l’etica «è la forza che controlla, e comunque organizza, le dimensioni ontologiche del tempo: tempo della demistificazione; tempo del lavoro critico, tempo della verità» (p. 42). Ma come si definisce la categoria del tempo in Leopardi?
In primo luogo, il tempo leopardiano è il tempo della filologia classica. Una volta che il tempo storico si è fatto dimensione critica, il passaggio dalla filologia alla filosofia è stato inevitabile, esattamente con la Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 e la Dissertazione sopra l’origine e i primi progressi dell’astronomia (entrambe del 1814). Più difficile è seguire Negri quando accosta, per identità di temi - problema tutto da porre, per sua stessa ammissione, - l’illuminismo leopardiano agli esiti teorici di Francoforte, però almeno con un’obiezione che l’autore stesso previene affermando che «la critica dei francofortesi riguarda la “sussunzione reale” della società del capitale, quella di Leopardi solo la “sussunzione formale”» (p. 45, n. 27). In secondo luogo, il tempo interiore, strutturalmente assunto, rifluisce nell’oggettività dell’essere. Non è operazione nostalgica di recupero del mito antico tramite l’idealizzazione. Il suo classicismo è antiromantico e, nella posizione che prende durante la querelle, garanzia contro l’inevitabile fallimento del romanticismo che pure si sarebbe riverberato successivamente nello sperimentalismo inquieto ma strutturato del Carducci barbaro.   
Per la verità, questa contrapposizione tra classico e romantico è un’insensatezza. Tanto il classicismo quanto il romanticismo sono astrazioni dal momento che tanto la storia e la fantasia quanto la natura e il sentimento sono presenti nella strutturale complessità della letteratura. Leopardi ha la geniale originalità di riformulare i termini del dibattito: «Il concreto del fare poetico vive positivamente non di queste alternative ma del congiungersi delle polarità. “La natura non si palesa ma si nasconde” e solo la fantasia della naturalezza e le forme storiche della convivenza sapranno rivelarla al poeta» (p. 79). E infatti la ripresa del mito antico deve risiedere, introiettata nel tempo interiore attraverso la memoria, in nessun altro luogo che nel quotidiano senza alcun movente dialettico nei rapporti con la storia contemporanea.

2. Andando avanti nella lettura ci accorgiamo di una sovrapposizione di cui avevamo precedentemente avuto il sospetto:  stiamo parlando di Leopardi o di Negri? Non c’è dubbio che esista nel testo una consonanza tra i due autori, in specie per quanto riguarda la dialettica prigione/liberazione (Recanati/fuga, prigione di Negri/libertà), essendo legittima l’identificazione che rimanda a una nuova interpretazione. E questo di Negri è proprio un Leopardi antidialettico. Il suo è storicamente il tempo della dialettica, o che tra poco avrebbe scoperto la dialettica (idealistica). Ponendosi al di là di essa, Leopardi rompe col proprio tempo rivendicando l’ultimo orizzonte (interrotto dalla siepe de L’infinito) dell’essere, ma dell’essere pretende le infinite possibilità nella finitudine e non nelle dimensioni rarefatte e platoniche, astoriche, del mito delle Grazie foscoliane (lasciate però, non a caso, incompiute - finite ma non terminate, come scriveva – dal poeta ben consapevole dell’impossibilità della poesia antica in epoca contemporanea).
Ecco paradigmaticamente l’ambivalenza di Negri, non in conseguenza di una qualche ambiguità del dire (le cose vanno dette sempre in modo chiaro ma non necessariamente univoco) bensì in ragione di una valenza pluralistica insita nell’argomentazione: «Ne viene una terza complementare caratteristica del pensiero di Leopardi. [...] Non è un pensiero progressista perché non è un pensiero storicista. Luporini, Binni e altri autori hanno spesso dimenticato, nel condurre un’orgogliosa e giusta battaglia antiformalista, la rigidità del nesso fra storicismo e progressismo. [...] Aggiungiamo che il nesso materialismo-catastrofe non può in nessun modo essere interpretato in forma reazionaria: non perché il concetto di reazione sia, al pari di quello di progresso, privo di senso in riferimento alla lirica leopardiana ed ai suoi contenuti parziali - ma perché il nesso catastrofico scoperto e organizzato dal materialismo si oppone ad ogni pratica restaurativa, alla ripetizione del tempo storico, alla stereotipa resistenza del passato. La catastrofe è contro la reazione» (pp. 93-94).
Insomma è come se Leopardi pretendesse di essere un poeta greco all’interno della finitezza spazio-temporale, quasi fin dentro le angosce del carcere recanatese e dal carcere non solo tenta la fuga e in seguito effettivamente uscirà, ma nel carcere vive l’esperienza della liberazione o, meglio, della libertà del tempo interiore senza la minima tensione illusoria di carattere metastorico o idealistico.
È ormai così oltre la crisi: la sua vicenda ora è inserita nel destino comune. Questa svolta è databile nella lettera al Giordani del 19 novembre 1819. Giacomo ha ventun anni. La consapevolezza che il tutto è nulla non esclude la seconda natura, data dalle illusioni. La prima natura le concede a tutti e in qualsiasi circostanza, ed è qui che si fonda il reale.
Leopardi elabora una critica antikantiana della ragione, lontana anche da Rousseau se è vero che Rousseau ha aperto all’idealismo. La funzione critica dell’illusione, prodotta dalla prima natura, è contraria alla ragione. In altri termini, la ragione e non la natura, in questa fase, è corruttrice delle lettere italiane – Negri legge: del costume italiano, essendo le lettere espresse dal costume.

                  
                                                         
                                    
















mercoledì 23 marzo 2016

Il Verga non scritto

Quella dell'ultimo Verga è una lettura impossibile. 
C'è grandezza nelle sue non-opere estreme (perché non scritte) dove il dato estrinseco manca in modo assoluto e l'intuizione creativa resta tutta quanta chiusa in sé. Ciò che colpisce è non tanto il suo ritorno alla vita di provincia, a Catania, né la sua incapacità di scrivere più una riga (i romanzi progettati non vengono neppure iniziati, de La Duchessa di Leyla non fa che un solo brutto capitolo; si dedica soltanto stancamente al teatro, nemmeno con sforzo d'invenzione, rifacendosi alle sue opere precedenti), quanto l'indifferenza ormai completa perfino per il grande amore della sua vita, la contessa Dina Castellazzi.




giovedì 17 marzo 2016

Venerdì 19 giugno 2015

Pomeriggio: estate/sensi, voglia di organizzare il tempo.

Sera o alibi. Così week-end. Per potenziare il seguito.

mercoledì 16 marzo 2016

Lunedì 30 ottobre 2006

Di nuovo intenso, reale. Era a casa mia, in una stanza adiacente. Parlato. Grande senso di pace. La promessa di parlarci ancora, a lungo.


Letture in bilico

Inauguro una nuova categoria per questo blog.

Sono letture in bilico perché alla quotidianità di noi tutti, compressa, frettolosa, annaspante talvolta verso una ricerca insensata è richiesta sottrazione di tempo per riprendere la strada maestra e recuperare energie, riappropriarsi di sé e questo solo i libri sanno dare.

Perciò non sono esattamente recensioni. Piuttosto sono annotazioni che implicano una partecipazione soggettiva in una misura diversa dal giudizio critico, anche se nel momento in cui l'articolo viene pubblicato, quella soggettività assume una valenza nuova nel riferimento a qualcosa d'altro che emerga dai testi presi in considerazione.

Nei prossimi giorni e settimane darò inizio a qualche breve annotazione di mie impressioni di lettura.

Adolphe

Adolphe ama sconsideratamente Ellénore. Non esiste soluzione di continuità tra presenza e assenza di lei, il sentimento romantico si eleva fino a costituirsi come l'unica realtà totalizzante di Adolphe. Quando c'è di nuovo, presente, è un nuovo amore intorno a cui far girare la routine, un nuovo interesse, una curiosità, anche un vizio. Ossessivo: Adolphe sbriga in fretta le faccende quotidiane, e concentrandosi esclusivamente su Ellénore, finisce per allontanarsi da ogni altra vita sociale, e i conoscenti e gli amici di Adolphe si meravigliano di questo trascurare le occasioni di svago.

(6 marzo 2016)