«In base a che cosa potete decidere che una
vocazione è autentica, dal momento che secondo voi, se ho afferrato bene il
vostro pensiero, non c’è voce che, di lassù, chiami colui che crede di udire
questa voce abbastanza nettamente per obbedirle? e la Chiesa che, tutta intera,
si è levata all’appello di quella voce e che accoglie coloro che obbediscono
all’appello, come può pensare di venire a consultare uno spirito convinto che l’appello
sia illusorio e che la voce non abbia mai chiamato?» «Io non discuto la realtà
del fenomeno né la sua espressione
nel mondo che l’uomo ha costruito a partire da un tale fenomeno, il punto non è
qui; gli attribuisco un’altra origine, origine che ritrovo nelle forze che
abitano lo spazio infinito e irriducibile della psiche umana. È per questo che mi è possibile intendermi, in una
certa misura, con la Chiesa, e la Chiesa da parte sua mi dà fiducia e apprezza il
mio punto di vista quando si tratti di capire se, in una persona, non ci sia
nulla che le impedisca di morire completamente al mondo, di aderire a questa
morte senza che questa morte e l’abito che la rappresenta agli occhi degli altri uomini come di colui
che osa portare l’abito, senza che tutto questo sia una mascherata, un
travestimento di una delle forze dell’anima rispetto a un’altra forza dell’anima.
In poche parole, perché ci sia vocazione autentica – non riesco a usare altro
termine se non quello che è tradizionale – perché ci sia risposta valida all’appello,
occorre avere compreso il Maestro quando ci invita a seguirlo; che altro vuol
dire: obediens usque ad mortem crucis,
se non che con tutta l’obbedienza di un figlio amoroso, egli ha, sulla croce –
questo letto nuziale – abbracciato sua Madre, la Morte, alla quale ci ha
convitati». «Volete dire che la Chiesa… - domanda Jérôme, - volete dire che
Nostra Santa Madre Chiesa non sarebbe che l’immagine…» «La Chiesa non dice che cosa essa è, - dice
Persienne, - ma sa che io lo so».
Pierre
Klossowski, La vocazione interrotta,
a cura di Guido Neri, Einaudi 1980, pp. 54-55