La
ragione non soltanto argomenta ma vede, prima in modo non chiaro,
successivamente formulando. Come il puro amore, l’opera pura è di-per-sé un
assoluto ugualmente in grado di cambiare la realtà. Sul piano esoterico,
l’amore puro, operando nell’opera, legato al tutto cosmico, non ripropone
affatto l’immobilismo dello status quo.
Esso è un fine in-sé, impolitico per definizione: vede la realtà e la cambia
nella vita spirituale prima che si faccia politica. Oppure, l’unico impegno
politico è quello sovversivo: la bellezza è un pericolo pubblico, e infatti la polis se ne difende. Stiamo
identificando l’amore con la poesia, dicendo che sia possibile solo nel luogo
dove si dà quest’ultima? Pure quando leggiamo Walter Pater, non capiamo
talvolta se stia parlando di arte o di eros.
Nel nostro caso no, perché una differenza è sostanziale, almeno tra amore e
amore. Infatti, mentre la concezione dell’amore generalmente diffusa nel luogo
comune parte da un movente irrazionale – quale amore non è una follia? -, per
poi organizzarsi razionalmente/politicamente in un rapporto di coppia, l’amore
puro è di-per-sé sempre non razionale in quanto assoluto, come la poesia esso
rompe definitivamente con le strutture della ragion pratica, ma non per questo
è improduttivo in termini di trasformazione della realtà (interiore). E quale
poeta non è, nel senso supremamente realistico di Platone, un folle, non dal
punto di vista clinico, soggetto e oggetto contemporaneamente?
Niente in definitiva è più creativo e
politico di questo amore, fondato sulla stessa energia libidica che anima
l’opera, e che si fa “impuro” quando si parcellizza in frammenti, più o meno
innumerevoli – la promiscuità di Pater -, separati l’uno dall’altro, momenti
autonomi di contraddizione, oscenità, caduta o peccato. Analogamente, non
esiste poeta che non s’illuda di cambiare il mondo, la realtà, fosse anche una
sola persona che lo legge.
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