domenica 24 dicembre 2017

L’esistenza storica di Gesù Cristo



Non suoni irriverente o blasfemo quanto sto per dire, proprio oggi: ma francamente trovo ingenuo tutto questo discutere sulla data del 25 dicembre, dell’ora in cui sia nato Nostro Signore, se ci fossero o no un bue e un asinello nella capanna, ecc. ecc. Non sarebbe ora di divulgare un po' meglio una problematica nota da sempre non solo a filosofi e teologi, anche cattolici, ma a tutti i papi e cardinali? Certo esiste un problema di linguaggio, me ne rendo conto, una difficoltà, in specie oggi, diversamente che in anni anche recenti, meno semplicistici, a incoraggiare una spiritualità più complessa che non sia una pur bellissima favola.
Eppure è impossibile parlare storicamente di Gesù Cristo allo stesso modo in cui parliamo di Giulio Cesare o di Napoleone. L’esistenza storica di Gesù il Nosri non è affatto una certezza, ma questo nulla dice contro la fede di chi ha fede, dal momento che è innegabile che se quella storica può non esserlo, è tutto un altro discorso l’esistenza concettuale. Ma fonti storiche non cristiane attendibili non esistono.
L’unica potenzialmente risolutiva è il cosiddetto testimonium Flavianum, ma è forse interpolato, cioè falso, sia pure su un presupposto di attendibilità, dello storico Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64, 116-119; XX, 200).
Tutti i pochi altri autori non cristiani, cioè non apologetici, Plinio il Giovane (Epist., X, 96 a Traiano), Tacito (Annal., XV, 44), Svetonio (Nero, 16; Claudius, 25.), Adriano (lettera a Minucio Fundano del 125 ca., tramandata da Eusebio, Hist. eccl.,IV,9, e al console Serviano del 133 ca., tramandata da Flavio Vopisco, Quadrigae tyrannorum, 8, in Script. Hist. Aug.), non parlano che di cristiani, anzi “crestiani” con un vago riferimento a “Cresto”. Nulla di più. Non esiste consenso unanime sull’autenticità del testimonium Flavianum, ed è singolare che da razionalista Harnack difendesse a suo tempo l’autenticità, mentre il cattolico Langrage fosse a favore dell’interpolazione, cioè del falso storico.
Probabile, molto probabile che il testimonium sia autentico. Ma se pure così fosse, non avremmo altro sul piano scientifico. Però, in definitiva, se l’Incarnazione fosse dimostrabile scientificamente al modo delle certezze matematiche e fisiche, la fede non sarebbe necessaria. Sappiamo che lo stesso sepolcro fu un'invenzione nel 325 della madre dell’imperatore Costantino, sant’Elena; la Sindone è un falso del XIII secolo, perlomeno se vogliamo dare attendibilità scientifica al carbonio 14. “Una soluzione incontrastabile non si troverà probabilmente mai, - scriveva Giuseppe Ricciotti in Vita di Gesù Cristo, naturalmente andando incontro a qualche problema con le gerarchie vaticane - sia per mancanza di documenti, sia perché le ragioni addotte contro l’autenticità sono soltanto di ordine morale e quindi variamente giudicabili. […] In conclusione, a noi sembra che il testimonium com’è oggi possa essere stato interpolato da mano cristiana, benché il suo fondo sia certamente genuino; tuttavia la stessa possibilità, e anche una maggiore probabilità, concediamo all’altra opinione secondo cui esso sarebbe integralmente genuino e vergato, così com’è oggi, dallo stilo di Giuseppe.”
Detto questo, va benissimo la Vigilia di Natale, il presepe, gli emblemi della festa e anche il bue e l’asinello.

lunedì 18 dicembre 2017

Amori ipotetici

Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti (1917)

Perché Leopardi non si innamorò di Laura Cipriani-Parra o di Elena Mastiani-Brunacci, le pisane, nel quasi sereno soggiorno a Pisa e preferì l’ignobile Fanny Targioni-Tozzetti, tutta letteratura e signoria, a Firenze, che lo illuse? Il motivo, o perlomeno uno dei motivi più convincenti è il seguente: gli amori ipotetici sono più interessanti di quelli reali, perché gli amanti in questo caso sono autori che alludono a una sottile rottura tra il reale che pure fingono di rappresentare e la propria opera. Non essendo la realtà (dell'amore romantico) data nell'opera se non in modo frammentario, essa si insinua di meno col suo irrinunciabile riscontro sul piano sentimentale ma pure con la sua inevitabile prosaicità, perciò tali amori ipotetici risultano anche più belli. Kierkegaard ha abbandonato Regine Olsen per poter continuare ad amarla al di là del quotidiano, Matilde Wesendock e Charlotte von Stein hanno tanto contato nella vita rispettivamente di Wagner e di Goethe proprio perché né Wagner né Goethe le hanno mai potute (o volute?) sposare. Viceversa, certi amori cosiddetti reali, paradossalmente, vissuti nell’ambito istituzionale di un fidanzamento o di un matrimonio, sono di fatto assai più ipotetici e irreali di quelli della finzione.


sabato 16 dicembre 2017

Neo-neoclassicismo

Dopo l'esperienza artistico-teorica di Winckelmann nel Settecento, Jacques d’Adelswärd-Fersen ha realizzato più di tutti non solo letterariamente, essendo un poeta, ma concretamente, ossia esistenzialmente, nella vita vissuta e non solo nell'opera il Neoclassicismo in un momento storico non poi così lontano da noi.

Vanja, Alëša, Nataša e Nelly


Quando si legge Umiliati e offesi, lo svolgimento della narrazione è così necessario che non si riesce a fare a meno di pensare che le parole potevano essere solo quelle di Vanja, il narratore, alter ego dell’autore da giovane, con le dovute trasfigurazioni un po’ iperboliche e inevitabili invenzioni come quando, essendo Vanja stato rivale di Alëša, ritrova Nataša e il racconto già molto lungo poteva anche finire così. Ma siccome stiamo parlando di Dostoevskij, ecco che Alëša si riprende Nataša, del che non è certo contento Vanja. Ma presto Alëša la lascia per fidanzarsi con Katja, mentre Vanja, dopo che l’autore ha fatto fare a Nataša la spola tra Vanja e Alëša, senza che quasi neppure lei sembri sapere con chi voglia stare, trova il suo equilibrio infine con Nelly. Forse. Perché dove sia realmente Dostoevskij in tutto questo non si sa.

martedì 5 dicembre 2017

Poirot romantico - ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS di Kenneth Branagh



Sono un fan di Agatha Christie, ho letto molti suoi romanzi e racconti e se per questo anche i fondamentali Quaderni segreti di Agatha Christie di John Curran, dove viene analizzata la genesi delle sue opere man mano che andava buttando giù appunti e stabilendo piani di lavoro. Perciò non ho saputo resistere dall’andare a vedere il remake di Assassinio sull’Orient Express fatto da Kenneth Branagh. Ma… c’è subito un ma perché questo suo Poirot assomiglia piuttosto a Sherlock Holmes per il metodo analitico-deduttivo, in questo caso più vicino a Conan Doyle che gli diede un taglio originale, che non alla Christie più sottile e ironica, più brillante, perfettamente britannica. Il Poirot di Branagh non è certo francese né tantomeno belga, ma tedesco. C’è pure da dire che il precedente film di Sidney Lumet era troppo pieno di mostri sacri – Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Vanessa Redgrave, Wendy Hiller, lo stesso Albert Finney… – perché un remake sia pure con la genialità di Branagh potesse competere con esso. Non c’è quindi partita da questo punto di vista. Per il resto, si tratta di un film senza dubbio godibile, cupo, dai forti tratti romantici e con risvolti filosofeggianti in senso morale, tutto sommato più vicino a Edgar Allan Poe che non a Conan Doyle; ma ciò è legittimo, quando si tratta di un visionario multiforme quale è Branagh. Ma non è un film superlativo, non al pari con Lumet e soprattutto non con la Christie.